di Cristian Arni
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Nella notte tra il 21 e 22 Dicembre si consumava la tragedia delle due giovani rimaste coinvolte nell’incidente stradale a causa di un giovane che guidava speditamente in città.
Si può dire giusta o ingiusta una pena di otto anni inflitta ad un giovane di 21 anni per aver commesso un duplice omicidio colposo di cui sono rimaste vittime due giovani che attraversavano un tratto di strada, un lungo rettilineo che invita gli automobilisti a spingersi, talvolta, ben oltre il limite di velocità imposto?
E’ giusto morire in una notte buia e piovosa, fredda e umida a soli sedici anni, con tutta la vita davanti, i sogni, le speranze, l’energia di un’età che vuole guardare ben oltre gli orizzonti dell’adolescenza, mentre si attraversa quel tratto di strada, il loro ultimo tratto di strada, percorso insieme, mano nella mano per ripararsi dalla pioggia, commettendo si, quello che alcuni condannano, un atto incosciente, ma non meno incosciente, probabilmente, di quello commesso da tanti altri pedoni, automobilisti e centauri incuranti che commettono, si imprudenze rischiando la vita di tutti, ecco: è giusto morire così giovani ed essere anche “condannate”, da una parte dell’opinione pubblica, di aver commesso un’imprudenza?
E’ giusto stare con lo smartphone in mano mentre si guida, a chattare, messaggiare, telefonare, scorrere playlist o scrollando i profili social, e facendolo, spingere il piede sull’acceleratore di un Suv, magari un po’ alticci o magari sotto gli effetti di qualche sostanza psicotropa, di notte, mentre imperversa una pioggia incessante, la città che dorme e si appresta alle celebrazioni delle festività natalizie, è giusto che tre ragazzi, tre giovani, rimangano coinvolti in un brutto, bruttissimo incidente?
Un incidente è un evento straordinario, non nel senso della meraviglia, ma che pone il suo accadimento proprio fuori dall’ordinarietà della vita, un incidente è qualcosa di improvviso, imprevisto, non programmato, in cui intervengono molti fattori, tra cui si potrebbero chiamare in causa il destino, il fato o chissà cos’altro…
E allora quando nel 2019, nella notte tra il 21 ed il 22 Dicembre, i destini di tre giovani, un ragazzo e due ragazze, si sono incontrati e scontrati in quel tratto di strada che li ha separati per sempre dalla vita e dalla spensieratezza di un’età che non tornerà mai più.
E allora, che senso hanno le polemiche degli adulti, i commenti ai post sui social, il veleno iniettato dal peso delle frustrazioni della vita che reclama le sue giustizie in cause distanti dalla propria esistenza eppure, così sentitamente vicine nel dolore e nella rabbia per la frustrazione di non ricevere mai una risposta o trovare un senso a tutto questo.
Ora, già da quasi un anno, sul luogo dell’incidente, un murales campeggia con i nomi delle due giovani vite spezzate, l’abbraccio sincero degli amici che hanno compiuto questo gesto spontaneo e giovane. Il cordoglio degli amici, dei conoscenti e di quanti sono rimasti provati da quella tragedia, fa da contraltare alla condanna inesorabile, invocando Giustizia, per chi si è reso, involontariamente, colpevole di un duplice omicidio, una condanna che è giunta ad un anno esatto da quella fatidica notte in cui persero la vita le due giovani, sospesa per ora invece quella del terzo giovane.
Otto gli anni di pena da scontare, per lui un macigno incredibile, non pensava in una pena simile; sui social c’è chi reclama una pena più severa, chi invece ritiene la pena già abbastanza importante a fronte del reato commesso, del resto, per quanto si è giovani, spensierati e con la vita davanti da vivere viene appunto fatto di dire che si hanno delle responsabilità sin da quando si è giovani, specie quando si guida una macchina di grossa cilindrata, in una notte piovosa e si è magari anche un po’ alticci o magari, stonati (chissà), e in tutto ciò si “smanetta” con lo smartphone mentre si lancia il Suv a tutta velocità su quel maledetto tratto di strada, che è sempre stato lasciato, da parte di chi amministra la città, molto al caso: poca illuminazione, poca segnaletica, pochi semafori o dissuasori di velocità, del resto a chi vuoi importino questi espedienti se poi alla guida ci si comporta tutti un po’ maldestramente, pedoni compresi.
E allora, come spesso capita, ci deve sempre scappare il morto prima che qualcosa si metta in moto, ed il massimo che è stato fatto per limitare i danni, è stata l’installazione di una rete metallica per impedire lo scavalcamento dei blocchi di cemento che delimitano le carreggiate, il tutto sa un po’ di beffa, oltre al danno.
Intanto noi ricordiamo qui a un anno dalla scomparsa le due ragazze: Gaia e Camilla; un pensiero va alle loro famiglie, al loro dolore e al peso di una vicenda giudiziaria che ha consegnato alla Giustizia chi si è macchiato di una colpa si, lontana però dalle proprie intenzioni.