Ricordando Giancarlo Siani e il suo “giornalismo/girnalismo” a 35 anni dal suo assassinio.

 

di Cristian Arni

 

 

Da Torre Annunziata a Il Mattino di Napoli munito di penna e taccuino per combattere la criminalità organizzata.

 

E’ un elogio ricordare Giancarlo Siani, giornalista ucciso dalla camorra il 23 Settembre 1985 in quella che fu una brutale esecuzione: dieci colpi d’arma fa fuoco di cui: sette in testa e altri tre al torace.

E’ un dovere per chi fa il giornalista, per chi si sente giornalista per vocazione e per chi vuole fare il giornalista/giornalista, ma è un dovere di tutti noi ricordarlo per il suo impegno: informare!

Ma ricordare Siani, nel 35° anniversario da quella terribile sera, significa anche non dimenticare tutti i suoi colleghi rimasti vittima come lui, della criminalità organizzata.

Le indagini sono state al solito, lunghe, impervie e dopo dodici anni si arrivò alla sentenza definitiva che ha consegnò alla Giustizia sei persone, tra mandanti ed esecutori, che emise la massima pena per i reati loro imputati e per il terribile omicidio del giornalista di Torre Annunziata.

La morte di Siani non è la sola: un bagno di sangue per altrettanti delitti, come ad esempio quello di un altro giornalista/giornalista rimasto vittima della mafia: Peppino Impastato; non vogliamo però far torto a tutti gli altri, tanti, giornalisti/giornalisti che hanno persa la vita assumendosi la responsabilità di scoperchiare fatti e misfatti della malavita.

Tanti altri giornalisti sono rimasti vittime per mano di sicari senza scrupoli e tanti altri, ancora oggi, ricevono minacce di morte e sono costretti a vivere in un regime di protezione, che non è certo uno status sociale.

La scorta è una costrizione, certo per proteggere la vita del soggetto e dei suoi famigliari, certo per tutelarne l’integrità e la sicurezza fisica, ma ricordiamo, a quanti contestano il regime di protezione senza fare nomi, che la scorta è un dovere dello Stato nei confronti di chi combatte le organizzazioni criminali e per questo riceve minacce di morte.

Significa  che lo Stato è dalla parte della Giustizia nella lotta alle mafie, e non può nè deve esimersi dal tutelare chi lotta in prima linea per contrastare i fenomeni di corruzione, con tutto quello che significa corruzione: mazzette, appalti truccati, controllo del territorio, spartizione del territorio per il traffico di: armi, droga, rifiuti pericolosi, prestito di soldi a strozzo, reati contro il patrimonio ambientale, omicidi, attentati, truffe nei confronti dello Stato, della Pubblica Amministrazione, la lista è troppo lunga.

Ecco, Giancarlo Siani, che qui oggi vogliamo ricordare con questo piccolo ma sentito omaggio, ha affrontato tutto questo: un mondo sommerso che una volta scoperchiato non può non essere denunciato, non può essere taciuto, come ha fatto Siani e tanti altri come lui, che hanno avuto il coraggio di affondare la penna nel fango della malavita.

Ecco allora perchè non deve essere, quella sua e degli altri giornalisti, una morte vana, priva di senso, non deve andare perso il sacrificio compiuto a tutela della legalità e del rispetto della Legge.

Il loro impegno è stato quello, ed è quello di liberare il nostro paese dalla corruzione del malaffare ma prima ancora è quello di liberarlo dalle catene del malcostume e dalle cattive abitudini, dai vizi formali e non di una mentalità della illegalità ovunque.

 

 

Purtroppo dicevamo, sono molti ancora oggi, i giornalisti che vivono sotto scorta perchè hanno posata la penna là dove qualcuno non desiderava fosse appoggiata; questi colleghi (di Siani ndr) sanno cosa rischiano, sanno a cosa vanno incontro, perchè lo hanno imparato, hanno imparato il caro prezzo da pagare per il loro impegno nella lotta alla criminalità organizzata.

Per questo oggi fare, essere giornalisti richiede, più di ieri, un forte senso di impegno civile, e di coraggio che allontani lo spettro del silenzio di chi sa e tace, di chi si lascia, talvolta costretto, coinvolgere in affari illeciti o cade vittima, diciamolo: del guadagno “facile”, la soluzione ai tanti problemi che derivano da: mancanza di opportunità, di lavoro, in quelle sacche in cui lo Stato non arriva, in quelle aree depresse dove il vuoto istituzionale lascia spazio al controllo del territorio, il più delle volte si ramifica il crimine che  si sostituisce alle responsabilità e mancanze delle istituzioni.

Questo è stato il passato, questo ancora oggi ci racconta la narrazione del presente, e non è una giustificazione a compiere o cadere vittime del malaffare, ma la descrizione di un fenomeno nelle sue dinamiche più elementari, gli ingranaggi pià che rodati, di come si mette in moto il meccanismo del crimine.

Ecco, con tutte le manchevolezze del caso, con tute le lacune possibili, sento grato e onorato, quanto triste e dispiaciuto che in Italia un giovane di 26 anni, consapevole della portata e del rischio del suo lavoro, abbia perseguito ed inseguito il senso del dovere, della Giustizia nella lotta alla criminalità organizzata al fine di liberare l’Italia dall’illegalità.

In questo preciso momento, mentre scrivo questo atto voluto e dovuto, centinaia, migliaia di giornalisti che denunciano il malcostume o che si occupano di un’inchiesta contro reati di corruzione malavitosa, stanno rischiando insieme ai propri cari, la loro vita.

Tanti sono i giornalisti in prima linea nei vari territori: 4000 giornalisti minacciati, di cui 24 di loro vivono sotto scorta, alle spalle una lunga lista di giornalisti assassinati, morti ammazzati mentre compievano il proprio dovere.

Allora la domanda sorge spontanea: che razza di paese è quello in cui chi contrasta fenomeni di corruzione, illegalità e criminalità finisce addirittura sotto inchiesta senza ricevere nemmeno un minimo di garanzia o vicinanza delle istituzioni?

Occorre che ci sia una lotta totale e globale. giornalisti, Stato, Istituzioni, quando si scoprono certi “vasi di pandora” al fine di garantire: sicurezza, legalità e Giustizia.

Vivere sotto scorta non penso sia un merito, un vanto non è certo uno status sociale avere qualcuno che ti guarda le spalle perchè ogni atto, ogni gesto, ogni passo potrebbe essere l’ultimo. Essere controllati a vista è un enorme sacrificio, che pure vale la pena garantire a quanti ricevono minacce di morte, negarlo sarebbe un fallimento, una condanna a morte da parte dello Stato stesso.

Federica Angeli, giornalista de La Repubblica dice a tal proposito: “Vivere sotto scorta significa perdere la propria libertà, la propria normalità.”

 

Author: Cris

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