Presentazione, editing e copy Cristian Arni
Così cambiano i tempi, le pagine della storia, gli stravolgimenti epocali, questo è stato nei tre mesi di chiusura del paese. L’Italia è ripartita, si a 10 km all’ora, se girate e avete occhi per guardare, vi sarete sicuramente accorti di cosa è stato fatto al popolo sovrano, o meglio: a ciò restava del popolo sovrano. Sicuramente sarà una fase di rodaggio dopo una lunga pausa/rottura con il passato, ma ovunque vai senti le stesse considerazioni: non c’è lavoro, l’economia fatica, la gente non ha i soldi, le code ovunque, per fare quello che prima facevamo “normalmente”, ora ci si impiega il doppio, triplo del tempo e non è neanche detto ci si riesca. Colpa di un virus? O è più il sintomo di qualcos’altro?
DIARIO DELLA RISORGENZA E DELLA BUROPOLITICA
di Antonino Saccà
Vicino casa mia, Roma, zona Tiburtina Bologna, esisteva un mercato piuttosto trasandato, fontanella al centro, pescheria, e banchi. Amo fare la spesa, mi piace vedere la frutta, le verdure, mi ricordano la campagna e la Sicilia. Il resto non mi interessava, la carne, i formaggi, il pesce li acquisto altrove. Nel tempo ho preso confidenza con qualche venditore. Uno che strepitava, si annunciava, lui e la sua merce, alto, finto servile, caciarone, la moglie dimessa, curva ma attiva, una coppia laboriosa che vendeva in maniera tracotante, prezzi convenienti e la merce non era male; un altro banco che vendeva meno, il padroncino un omone rusticone con delle mani larghe e piatte e una moglie più pronta del marito, piccola, grassoccia, sempre a scorticare carciofi o spinaci, avevano prezzi elevati, però mi favorivano, altri banconi non li frequentavo. Alcuni mesi fa per disposizione del Municipio decisero di chiudere il mercato e risanarlo, avvenne la chiusura, poi il morbo, seguivo nel camminare i lavori, interrotti, oggi improvvisamente vengo a sapere che il mercato è riaperto. Vado subito, totalmente cambiato, il suolo lucente di marmo finto, comunque luccicante e pulitissimo, il Bar c’è, ancora, ma si è messo a nuovo, un lungo bancone illuminato e dei tavoli fuori ben distanziati; uccisa la fontana centrale, rimasta la pescheria e rimasto il venditore che strepitava insieme alla moglie curvetta e indaffarata. Pur essendo cliente da anni non mi salutano ma agitati mi invitano a collocarmi mascherina e guanti, questi ultimi li porgono, poi, messo in ordine, l’uomo mi dice che hanno paura delle contravvenzioni. Scelgo qualcosa con un certo disamore, gli altri banconi sono deserti, non ci sono le persone che conoscevo, l’ambiente è illuminatissimo e sterilizzato, esageratamente ripulito, gli altri acquirenti, se mi avvicino, si allontanano. Forse ho la mascherina malmessa. Esco, incontro un Tizio che stazione da sempre nel posto, aveva un negozietto di robetta vecchia se non antica, gli dico che il mercato mi sembra un cinema vuoto, mi dice che i negozi sono stati affittati, la gente verrà, anche i banconi, e quindi tutto si ravviverà, mi informa che c’è un altro venditore di frutta e di verdure, roba della sua campagna. Poiché, dicevo, mi piace andare per mercati di tutti i generi ritorno, effettivamente vedo un uomo seduto che conoscevo appena di vista perché aveva il bancone anche prima, è solitario, nessun cliente, mentre il bancone del venditore che grida è fitto di vecchiette, se ne sta rattristato, vedo che la merce appare fresca, dei fiori di zucca che sembrano garofani gialli, pesche odorose, patate vive, anche delle uova di bell’aspetto, ma i prezzi sono impietosi, sconvenienti, glielo dico, mi risponde che non è un problema, prenda quello che vuole, paghi quanto vuole. La risposta non mi sorprende, dirò perché, cerco di provare la realizzazione di ciò che promette, e compro dappertutto, questo e quello. E mi assegna prezzi bassissimi. Credo che lo faccio per avermi come cliente, perché non vendeva, perché è produzione sua, ma spero lo faccia anche per la ragione che scrivevo nei giorni scorsi: occorre adeguarsi alla crisi non speculare sulla crisi. Mi dicono che l’altro verduraio dalle larghe mani piatte ha in affitto un negozio vicino, ovviamente andrò a trovarlo e di certo avrò un’accoglienza meno impaurita.
Una malinconica dispersione, luoghi, persone a cui eravamo abituati, negozi che non riaprono, ristoranti cambiati, alterazione del paesaggio interno, anche delle persone, e perciò disorientamento. C’ è una teoria sociologica la quale afferma che la realtà è una costruzione di abitudini quotidiane, se, poniamo, un giorno vediamo chiusa l’edicola dalla quale per decenni abbiamo preso i giornali la realtà vacilla, diventa insicura, dubitabile. Le piccole abitudini sono fondamentali nella vita e queste perdite delle piccole abitudini stravolgono la mente proprio in coloro che mentalmente sono problematici ed hanno bisogno di ancore. Il filosofo Emmanuele Kant, il critico per eccellenza della ragione, quando mutò un vecchio domestico non si raccapezzò per giorni. Le menti più ardimentose nei gravi temi naufragano se gli vien meno un’abitudine a cui sono legati. In concreto, questa maledetta pandemia ci strapperà tante abitudini, tante persone, tanti luoghi. Occorre armarsi di spirito d’avventura. E c’è una sfera di totale incertezza del futuro, e la voglia di persistenza non è una buona condizione d’animo per affrontarla. Mi riferisco al lavoro. È come l’improvvisa chiusura dell’edicola, anni, anni, e di netto chiusa. Stiamo avanzando in un terreno senza stabilità. Se l’imprevisto veniva dalla salute, quindi la preoccupazione per la salute che ti poteva mancare come la chiusura dell’edicola a cui eri legato, adesso la preoccupazione viene dal lavoro. La gente è intimorita. Domani può recarsi al lavoro e trovare la porta chiusa Inoltre abbiamo una classe politica di governo indecisa, che non suscita energia e fiducia, non ha il coraggio del rischio, non fa del fare la nuova medicina. Invece è indispensabile questo cambio di mentalità, il fare sul timore di fare, oggi su ogni iniziativa grava un timore, un dubbio, un inciampo. E timori per l’ambiente, e timori per le imprese in mano alla malavita. La società civile prenda piede su quella politica, la rappresentanza politica di governo è paralizzata e paralizzante, mentre bisogna correre e andare a redini sciolte. Un cambiamento di psicologia nella politica, persone attivissime anche capaci di rischio alla guida del paese. Dalla preoccupazione per la salute alla preoccupa-azione per il lavoro. Non bisogna cadere nel sentimento di inutilità degli sforzi, dell’ormai è tutto è finito, non ci risolleveremo. Dobbiamo assolutamente superare questo stato d’animo. Ci troviamo e ci troveremo con milioni(!) di disoccupati e centinaia di migliaia di imprese finite, fingere che potremo ricorre a non so quali redditi integrativi è follia politica, bisogna varare piani di occupazione, è chiaro? Non se ne vede l’ombra. Che ci venga a mancare l’edicola disturba, ma che venga a mancare il lavoro uccide. C’è un minimo piano per i milioni di disoccupati. Fantasmi di Governo, rispondete (con i fatti)!