“La Tempesta”, che fa acqua.

Lo spettacolo al Teatro Vascello di Roma, firmato dal regista Roberto Andò.

 

 

di Cris Hars

Quando ci si confronta con opere teatrali importanti l’insidia è dietro l’angolo, specie se ci sono state versioni sceniche rimaste memorabili.

Da quella firmata Giorgio Streheler, per il Piccolo Teatro di Milano fino a quella con Giorgio Albertazzi; in mezzo non possiamo non citare una versione dell’opera shakespeariana, al Teatro Eliseo quando era diretto da Maurizio Scaparro, a firma della “premiata ditta” Mauri/Sturno.

Arrivando così ai nostri giorni il confronto è inevitabile per lo spettatore più incallito mentre quello più occasionale potrà invece lasciarsi andare a soluzioni sceniche di impatto e facile presa, alla fine il pubblico…perdona sempre, o quasi.

Preambolo doveroso per dire che La Tempesta di Andò…andò.

Avvalendosi della versione di Nadia Fusini tra le note del regista apprendiamo che questa edizione è ambientata in un’abitazione allagata, così infatti risulterebbe il palcoscenico al levarsi della tela/vela/sipario piena d’acqua grondante.

Pur apprezzando lo sforzo e impiego di mezzi eppure sarebbe stato auspicabile che lo stesso impegno fosse sfruttato per esplorare appieno le potenzialità di quest’opera offrendone una rilettura più coerente. Qua e là ha fatto sentire un po’ qualche mancanza e incertezza, al di là di ogni concezione spettacolare di facile soluzione.

La regia di Andò non offre un particolare approfondimento o rilettura o collocazione temporale del testo, è semplicemente una messa in scena che porta a casa un risultato tutto sommato mediocre. A tratti una pallida e un po’ confusa prova che in fondo non esalta, seppur in alcuni momenti si riesce a seguire un nesso e a non smarrirsi del tutto nella moltitudine di segni e suppellettili sparse in scena, talvolta troppo ridondante e piena.

Non convince l’offrirgli una collocazione spaziale che a dispetto dei troppi oggetti presenti in scena sovraccaricano l’atmosfera appesantendola di qualche orpello di troppo, pur non conferendogli la giusta famigliarità con l’interno a volte un po’ discontinuo della casa.

Per altro è anche una bella intuizione la vela/sipario che apre allo spettatore il mondo sommerso di Prospero e della sua “corte”.

Seguire in questa direzione le intenzioni del regista non è così chiaro e diretto, forse sarebbe stato più efficace affidandosi ad un alleggerimento scenico che avrebbe giovato ad una rilettura magari più convincente.

Alte pareti dai colori sbiaditi, brande che rimandano più ad un ospedale di inizio secolo che ad un interno di abitazione, quasi più simili ad un manicomio o una caserma che ad un’abitazione o casa dove regnano l’ordine e l’armonia di cui in fondo Prospero è il direttore d’orchestra, lasciamo stare La Tempesta di Peter Greenway, quello era Cinema, un capolavoro.

Nel complesso, le dimensioni di questo ambiente domestico  talvolta è evocato a la cura dei particolari, talvolta superficiali e anche un po’ banali, che rasentano una minuziosa e scrupolosa attenzione ai dettagli non così importanti all’azione scenica, il tutto risulta più ai fini estetici e fini a sè che non legata ad una rilettura concreta e specifica dell’opera.

Miranda in apertura giace scomodamente addormentata su una poltrona, piuttosto che comodamente sdraiata sopra una di quelle brande in scena, come invece fa al lato opposto, Calibano, anticipando la sua presenza in scena sin dall’inizio, lui si, comodamente sdraiato al letto, coperto con un lenzuolo mentre schiaccia un sonnellino per sottrarsi alle fatiche e incombenze che Prospero gli assegna.

Sebbene l’incipit possa risultare fiacco, sottotono e poco incisivo pure non manca di apparire un po’ sommario rispetto ad altre versioni, tanto che la mente vola subito ad altre e ben più fragorose tempeste, tra marosi fragorosi e folgori, nello sciabordio dell’acque e l’imperversare della tormenta in cui vengono urlati e impartiti ordini che attraversano il ponte della nave da poppa a prua.

Qui la nave alle prese con tutto ciò è cartone anzi, carta nelle mani di un Ariel un po’ effemminato e poco convincente; mentre il vento gonfia le onde la vera protagonista dell’opera, da cui il titolo, è un libricino pop- up maneggiato da un troppo corpulento Ariele che un soffio di labbra liquida l’elemento portante del dramma che porterà Alonso e Gonzago con Ferdinando e gli altri dignitari, sull’isola di Prospero.

Alcuni personaggi sono restituiti dagli attori con maggiore sforzo di altri (Calibano e Prospero per esempio); l’incarnazione dello schiavo e del suo padrone sembrano funzionare ai fini di questa versione liquida.

A parte il tronco d’albero sospeso all’interno del boccascena, il resto prende forma e “profondità di campo” con le evocazioni/apparizioni dietro i velatini, veri e propri siparietti della corte di Alonso naufragata sull’isola; apparizioni e quasi più rimembranze piuttosto che personaggi veri e propri che agiscono nel presente scenico.

L’uso di effetti sonori eccessivamente “riverberati” rendono il tutto troppo pastoso ed altisonante, un po’ artificiale e leggermente fastidioso, sarebbe bastato dosarne il volume o il “gain” e magari il risultato sarebbe stato più gradevole.

In tutto questo gli attori si muovono con i piedi immersi nell’acqua coperti da galoche; non si può certo dire che non abbiano fatto bene il proprio lavoro a parte qualcuno di loro; altri gesticolavano troppo con le mani a voler rafforzare la parola di un significato già potente di suo che invece in questo modo si svilisce.

Miranda e Ferdinando, sono anche loro immersi in non buone acque, risultati abbastanza sottotono e poco convincenti come innamorati, eccessivamente nervosa e scattante lei, quanto troppo afflato il tono di lui seppur poco incisivo  e vivo il suo amore per Miranda.

Nota stonata: i microfoni: o tutti o niente, pena la disparità e il calo di tensione per alcuni attori a scapito di altri che ne erano senza; inoltre l’uso del microfono rischia di mettere in risalto alcuni difetti di pronuncia se non saputi gestire al meglio, specie se non tutti gli attori ne sono dotati.

Arriviamo alla coppia Trinculo e Stefano, beh che dire, sono quelle perle che il Bardo dona a chi ha la fortuna di giocare e divertirsi facendo divertendo il pubblico; non male davvero i due attori seppure non sono mancate le note stonate anche in questo caso: l’interno cucina che veniva fatto scorrere in scena su ruote, sinceramente stonava nell’impianto scenografico descritto perchè non rendeva con l’idea cardine dell’abitazione di Prospero, sinceramente poco chiaro il tutto.

Lo spettacolo affonda ulteriormente quando appaiono le visioni in costume e volti coperti da veli, mentre eseguono una coreografia un po’ bizzarra quanto superflua, una pantomima imbarazzante.

0A fronte di un certo impiego di energie e risorse sarebbe stato auspicabile invece avere qualche attore in più in scena a ricoprire ruoli tutt’altro che marginali  piuttosto che abbondare in oggetti e oggettini da mercatino.

Alla fine Prospero smette i panni esce di scena ed invita il pubblico ad applaudire.

Author: Cris

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