Editor e Copy Cristian Arni
Un’interessante spunto di riflessione, all’indomani del lock down, ci viene fornito da queste parole che provengono da altro ben più rinomato giornale quale è Il Borghese, diretto da Claudio Tedeschi. Condividiamo letteralmente e “fisicamente” pubblicandole qui su CHPressOffice. Speriamo le troviate anche voi un interessante prospettiva, perchè a noi pare descrivano bene, non solo le circostanze attuali. Buona lettura e grazie al direttore responsabile Claudio Tedeschi.
di Claudio Tedeschi
IL «POST» DEL GIORNO DOPO
Stiamo uscendo da una guerra economico-batteriologica, una guerra «breve», vissuta nelle trincee mediatiche della propria casa.
Di questa «breve» guerra, le vere vittime sono state le persone anziane. Sia tra quelle in casa, sia tra quelle «parcheggiate» nelle case di riposo, la signora con la falce ha mietuto alla grande. Quello che è certo è che non è stato, nella stragrande maggioranza dei casi il virus ad uccidere, ma la mancanza di cure adeguate alle varie patologie legate all’età ed il fatto che tutta la macchina assistenziale italiana è stata attivata per gestire la crisi all’interno degli ospedali.
Tutto questo comporterà, alla fine della crisi, la rivalutazione del «sistema di vita» italiano. Un sistema di vita, nato dopo la guerra all’insegna del leggendario boom economico, che si sviluppò fino alla fine degli anni ’60. La crescita reale del Paese iniziò a fermarsi a cavallo del ’68, per cui oggi in Italia più del 50 per cento della popolazione produttiva non lavora, campa con i sussidi pubblici, studia quasi per niente e considera la laurea un foglio inutile. Da non dimenticare che la crescita economica italiana, in questi ultimi vent’anni si è ridotta quasi allo zero.
Il sistema di vita italiano, dopo il boom, è stato garantito dalla «rendita» costituita da quanto le generazioni precedenti avevano costruito. Inoltre le esistenze delle generazioni più giovani sono state «sostenute» dalle ricche pensioni d’annata di nonni, genitori, zii e parenti vari. Quelle stesse pensioni che ancora oggi permettono a molti «giovani» di vivere senza fare nulla. Gli stessi «giovani» che in molti casi hanno abbandonato negli ospizi nonni, genitori e zii, che con le loro pensioni gli hanno permesso di stare con il sedere al caldo.
Queste generazioni «mantenute» vivono in una finta agiatezza, non avendo un futuro perché non «vogliono» un lavoro. Eppure l’Italia si ritiene ricca ed agiata, anzi qualcuno all’estero ha proposto una tassazione del 20 per cento sui conti correnti perché così si porterebbe il deficit a livelli del 30 per cento del PIL. In questo modo quel poco di risparmio creato dai «vecchi» svanirebbe come niente.
Queste generazioni «mantenute» da decenni «stanno a casa» e tutti lo sanno. Eppure nessuno a destra o a sinistra ha mai voluto contestare questa società in decadenza: anzi, li ha sempre cullati per avere un «voto di scambio», illudendoli con promesse di lavoro inesistente, ma aumentando le tasse sui redditi fissi, le pensioni, appunto. Anche la «borghesia capitalista» si è dimostrata un parassita, dedicandosi ad una vita «oziosa», ma senza frutto.
«A casa», come al baretto, da tempo gli italiani ci stavano, ma come scusa per non lavorare: perché il contesto famigliare glielo consentiva.
L’emergenza del «covid-19» ha affrettato la crisi di una società, portando alla luce i reali gravi limiti economici e sociali del Paese.
Il virus, a fronte del quale il governo ha varato strumenti «d’emergenza» per soccorrere una economia in una crisi profonda, ma specialmente un sistema scolastico non più in grado di plasmare le future generazioni necessarie allo sviluppo del Paese, sta accelerando il declino di quelle rendite «pensionistiche» e «reddituali», ultimo sostegno di una nazione stanca e malridotta.
Le scelte che l’Europa ci sta obbligando ad accettare, disperderanno i miseri resti di una ricchezza ereditata e gestita senza costrutto.
Se chi tornerà ad uscire non capirà che è ora di cercarsi un lavoro, ribaltando quello stile di vita, economico e culturale a cui si era abituati da decenni, avrà decretato la fine di quella «dolce vita» alla quale una politica dissennata, voluta da decenni di cattocomunismo sindacalizzato e liberismo sfrenato fine a se stesso, aveva abituato i «lucignoli» nostrani.
E saremo per sempre una nazione «schiava» del Grande Fratello globalista.