Dal micro al macro: la nuova “babilonizzazione” dell’umanità

Introduzione, editing e copy Cristian Arni

Sturm und drung da Covid e dissociazione sociale? No, niente paura, con una “zoommata”, tanto cara a certo Cinema, specie abusata la tecnica dello zoom negli anni ’70, partiamo dal micro cosmo, quello individuale, della solitudine umana, per alzarci in alto, allontanandoci con un movimento di macchina (da presa) come stessimo facendo un piano sequenza per riprendere dall’alto il genere umano tutto, elevandoci al macro cosmo; prendere anche le dovute distanze, si bada bene, non sociali ma quel sano allontanamento che permette una visione di insieme e globale di qualcosa che altrimenti, troppo vicino, offuscherebbe la vista impedendoci di chiarire il panorama. Ecco, questa introduzione doverosa alla nota odierna del Prof.Saccà è quanto mai pertinente alle circostanze attuali in tono con le mirabili, quanto mai partecipate del loro autore.

 

 

 

 

DIARIO DELLA RISORGENZA E DELLA BUROPOLITICA

 

 

 

 

di Antonio Saccà

 

L’alba avanza nel mattino, il sole “ingialla” le cime dei palazzi, tutto è dorato e calmo, quasi dormente, dalla finestra guardo le macchine e le persone che si recano a lavorare, alle loro faccende, alle loro fatiche. Non c’è nessun rapporto tra il cielo sereno e fermo e noi uomini, siamo soli a questo mondo e ciascuno è solo nella solitudine dell’umanità. Tra qualche anno io non ci sarò più, io, non l’uomo in generale, io personalmente, circoscritto, riconoscibile individuo. Ciascuno è talmente solo, talmente un io, che avrebbe paura di esistere se riconoscesse la situazione per quella che è, di essere un individuo irreparabilmente mortale. Occorre distrarsi, a nulla vale saper di morire e che siamo soli nella morte come siamo soli nella vita, dico la vita esistenziale, la costituzione individuale di ciascuno. Quello che accade a me accade a me, gli anni passano per me, il respiro è il mio respiro, ciascuno ha a che fare con la propria solitudine, anche se stai con gli altri, vita, tempo e morte accadono a te, insostituibilmente. E’ in questo la tragedia, siamo, ciascuno, unico, non replicabile, soggetti al tempo, mortali, e nessuno può prendere il nostro posto. Non c’è scampo, non usciamo da noi. Una tragedia che bisogna avere la forza di vivere, se lo vogliamo e lo sentiamo, ciascuno è artefice della maniera in cui porre la propria solitudine, la viva come sente e vuole senza alcuna illusione di spostare la condizione umana, immutabile. L’uomo è colui che ha la coscienza di essere individuo, solo come individuo, mortale come individuo.

Tuttavia, pur senza rimedio alla condizione solitaria individuale delle esistenze, riusciamo a costituire solitudini associate, qualcosa possiamo fare l’uno per l’altro, non dico: dovremmo, perché non c’è alcun dovere se non quello che vogliamo, potremmo se volessimo. E tra i doveri possibili vale quello di impedire che stando in società alcuni patiscano la fame e la mancanza di lavoro. E’ un controsenso: perchè stare insieme se non mi aiuti ed io non ti aiuto? Se non fai nulla per l’altro non è il caso di stare insieme. O, peggio, se nessuno fa niente per l’altro ciascuno è libero anche di recare violenza sull’altro, se tu non hai doveri verso di me non puoi pretenderli verso di te. Se tu mi domini o mi trascuri io posso , devo, se voglio, ribellarmi. Ecco la situazione odierna. Moltissimi precipitano nella miseria e chi è predisposto ai bisogni sociali è di un’incuria, di una flemma, di una appariscenza verbosa e visiva priva di realizzazione. Moltissimi sentono ormai la società non come una legatura di vicendevole aiuto, uno stare insieme per difenderci, l’opposto: un impedimento alla ribellione, uno stare muti a subire. La legalità non è la protezione secondo il diritto, ma il tenere a bada in nome della Legge la protesta. Sicchè l’individuo, i gruppi, i cittadini diventano poveri, miseri e senza facoltà di ribellione. Ho scritto ampiamente che il distanziamento sociale ha questo scopo “politico”: divieto di assembramento ossia divieto di proteste, di “piazza”. Ma la questione oltrepassa queste misure momentanee. Siamo alla crisi della costituzione in società degli uomini. Un uomo non si riconosce membro sociale se la società non fa niente per lui. La solitudine sociale si stringe alla solitudine esistenziale sicchè l’uomo perde la ragion d’essere della Legge e diventa un selvaggio che torna a lottare a branchi o da solo per la sopravvivenza. Quei governanti odierni che credono di sperimentare le qualità dell’ambiente senza industrializzazione, del monopattino rispetto alla macchina, del sussidio di Stato rispetto al lavoro e all’impresa e magari credono che la povertà ci renderà virtuosi, asceti, fanno esperimenti su di un corpo sociale che è un corpo umano. Stanno sperimentando all’eccesso la “bellezza” della rovina dell’industrialismo. Non si possono chiudere le fabbriche, le imprese per vivere di aria pulita, biciclette, e monopattini. Non è connaturato alla società lasciare l’individuo inoccupato ed alla mercè della carità. La carità, a differenza di quanto si dice, ha un aspetto maligno, rende succubi e svilisce fino al disprezzo di sé il bisognoso, non è sociale anzi costituisce il fallimento del lavoro sociale, della società. La carità deve esistere in circostanze rare, non bisogna trasformare la carità in un fenomeno sociale stabilizzato di soccorso, sarebbe il riconoscimento che la società non crea lavoro, occupazione. Vi sono tendenze odierne in talune rappresentanze politiche di deindustrializzare e ai molti disoccupati fornire carità di Stato. Sarebbe la fine della ragion d’essere della Società, ragion d’essere che consiste nel lavoro produttivo associato. Se poi la carità dovesse costituire la “soluzione” per una disoccupazione da tecnologia, ne ho scritto in vari libri, peggio ancora, sarebbe il modo per non mutare il sistema (lavorare meno e tutti, imprese di lavoratori per l’auto- occupazione). In ogni caso, un errore-orrore. La carità alla lunga suscita ignavia e sperpero. Ripeto, non sono contro la carità, sono contro la carità come presunto rimedio organico (organico!) alla disoccupazione. Allora? Se non si fa del lavoro lo scopo della società, la società non ha fondamento collettivo, lo stare insieme non ha base. Se l’uomo è solo esistenzialmente ed anche…socialmente, è la fine, la doppia morte, esistenziale e sociale. Credo non si abbia cognizione sensibile dell’importanza del lavoro, non si tratta soltanto di procurarsi la sussistenza ma di vivere, di impegnare le forze, la personalità. Che non vi sia un forsennato impegno per il lavoro, crearlo, ricrearlo dimostra la decadenza della politica. Invece di far subito vocio di carità e cassa integrazione, occorre creare e mantenere lavoro. Una impresa fallita sia gestita, in altri modi, dai lavoratori, per dire. Non cassa integrazione ma occupazione. Ed è possibile. E’ stato sempre possibile. Purchè si sappia fare e si voglia fare.

 Bene, Colao   ha formulato un progetto, il Governo raduna gli Stati Generali(!), aspettiamo con (s)fiducia i risultati. Ma se avessero voluto avrebbero già fatto. Perchè non fanno, credo di averlo compreso: un Paese in svendita può essere comprato comodamente. Da chi? Ombre “cinocriminali”? E per finire, l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara che i guanti sono dannosi giacchè appiccicano virus, batteri, e le mascherine spesso inutili o non convenienti.  Avevano detto il contrario. Davvero c’è una volontà di “babilonizzare” le società!

Da parte di chi? Perchè?

Author: Cris

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