N.D.R. L’argomento nel seguente articolo è tratto da una notizia apparsa su La Repubblica del 28 Ottobre, buona lettura.
Dalla rivolta contro il rincaro del prezzo del biglietto della metro al caso di Josuè
di Elisabetta Amato
Che succede quando un presidente fa ripiombare il suo paese ai tempi della dittatura? Succede quello che il presidente del Cile, Sebastián Piñera, sa bene: proteste e esercito l’uno contro l’altro.
È il 18 ottobre quando a Santiago ci sono i primi tumulti per l’aumento del prezzo del biglietto della metro. I manifestanti prendono di mira le stazioni e i tornelli, fino a far esplodere una rivolta antigovernativa per un malcontento generale, dovuto alla crescente povertà e alle diseguaglianze sociali.
Piñera incapace a gestire una tale ondata di protesta ha subito indetto lo stato d’emergenza (terminato domenica a mezzanotte), riportando il Cile, in soli dieci giorni, ai tempi di Pinochet: coprifuoco e esercito in strada. Gli scontri tra civili e militari sono stati brutali (18 morti), come il caso di Josuè Mauriera Ramirez, che ha denunciato la violenza sessuale subita dagli agenti. Il ragazzo, che oggi si trova sotto la scorta dell’Istituto nazionale per i diritti umani per difendersi dalla stessa polizia, è l’esempio di come Piñera abbia riportato indietro il Cile ai tempi della dittatura.
Cos’è successo a Josuè?
È il secondo giorno di coprifuoco, sono le due del mattino, quando il ragazzo cileno corre verso il supermercato Santa Isabel che sta andando a fuoco. Sente un urlo di aiuto, ma non fa in tempo a capire chi è, che entrano i carabineros. Josuè non fa niente, non si muove, alza le mani in segno di innocenza, ma le forze dell’ordine cominciano a picchiarlo fino a fargli perdere conoscenza. Una volta sveglio è in manette nella macchina dei carabineros che continuano a infierire su di lui. Arrivato alla comisaria 51 l’incubo continua: viene trascinato nell’unico angolo cieco della struttura, quello del bagno, dove le telecamere sono vietate, e il pestaggio continua.
Viene poi portato all’ospedale e gli refertano due lesioni lievi. Finita la visita i carabineros lo riportano in caserma e ancora in manette una carabiniera, Luna, lo aggredisce fisicamente. Alla fine dell’ennesimo sopruso, l’incubo – se possibile- peggiora ancora di più: portato in un distaccamento del commissariato, tre agenti lo interrogano. Viene accusato di aver picchiato la carabiniera e gli chiedono se è gay (maricón): sì è maricón, no non ha picchiato Luna. I tre agenti dalle parole passano alle azioni, quelle più brutali e animalesche: lo stuprano con un manganello mentre altri lo picchiano.
Dopo il danno arriva anche la beffa: è costretto a firmare un documento, secondo cui è stato arrestato per aver rubato cinque spugne per i piatti, e finisce in carcere. I genitori vengono informati che il loro figlio è stato rilasciato, in realtà è uno dei tanti desaparecidos (eredità sempre di Pinochet). In carcere Josuè comincia lo sciopero della fame e della sete, minaccia il suicidio, fino a quando l’avvocato non riesce a farlo uscire.
Ora in libertà, o quasi vista la scorta, è pronto a chiedere un risarcimento per le violenze subite dagli agenti di cui ha i nomi (la carabiniera Luna lo ha denunciato per lesioni e gli altri carabinieri hanno firmato il verbale). I carabineros, però, non solo gli unici a dover rispondere a questa ingiustificata ondata di violenza: Piñera, il Pinochet del nuovo secolo, riconoscerà le sue responsabilità politiche?