di Cristian Arni

Ripercorriamo alcuni momenti di questo anno alla luce dei fatti dell’altra sera a Milano. Per non dimenticare i sacrifici di quanti hanno sacrificato la propria vita per salvare le nostre.
E’ trascorso un anno dall’inizio dell’emergenza sanitaria da SarsCov-2 che ha colpito dopo la Cina, l’Italia, almeno secondo quanto ci è stato detto. Il paziente n.1, Mattia Maestri fu il primo caso accertato di paziente Covid-19.
Il Corona virus apparve così sulle scene del nostro paese, e di fatto entrò prepotentemente nelle nostre vite, un ospite sgradito che dapprima si è manifestato in Lombardia, esattamente a Codogno, luogo simbolo in cui il virus ha fatto sapere di essere arrivato dalla “Cina con furore”, approdando in un piccolo comune del lodigiano.
Codogno saltò alla ribalta delle cronache come epicentro dell’infezione; di quei terribili giorni conserviamo tutti un ricordo tremendo e vivido, che pure, immaginiamo, esorcizziamo per allontanare da noi lo spettro di questo incubo, a tutt’oggi ancora presente.
Da Codogno il virus si diffuse con una certa capillarità, il focolaio ben presto isolò il comune, prima vera zona rossa in Italia.
Maestri di quella vicenda non saprà nulla finchè non verrà messo al corrente una volta guarito da quella che inizialmente era stata identificata come una leggere polmonite bilaterale.
Era tra il 20 e il 21 Febbraio 2020; oggi, un anno dopo, il nostro paese si trova ancora in stato di emergenza sanitaria e siamo ancora in attesa che la popolazione tutta venga vaccinata per tornare a vivere si spera come prima, anche se c’è chi dice che come prima non si tonerà mai più.

Forse è vero, il Covid ha aperta la strada ad una consapevolezza: che si tratti di uno spill over, salto di specie, o che sia un virus di laboratorio, abbiamo imparato che in futuro la minaccia di nuovi eventi simili, potrebbero minare la nostra sicurezza e stabilità, fisica e psicologica, perchè lo stress di tutta questa pressione non ha certamente minori effetti.
Da allora, tanto si è detto e tanto si è fatto per cercare il più possibile di arginare il contagio ma in Italia nel frattempo sono arrivate anche le prime vittime, tra i pazienti molti anziani, tutti ricorderemo le immagini dei camion dell’esercito con le salme dei pazienti deceduti nelle RSA, capitolo che solo, meriterebbe un approfondimento a sè.
In quell’area geografica per il momento circoscritta alla Lombardia, arrivano i primi pazienti ricoverati in condizioni giudicate gravi, purtroppo molti di loro non ce la faranno. Con il passare dei giorni e delle settimane, man mano il virus inizia a camminare, a diffondersi a macchia di leopardo; le aree colpite saranno sempre più estese fino a comprendere tre macro aree: Lombardia, Veneto e Romagna in pole position, si cerca di capire perchè e come sia stato possibile che dalla Cina il virus si sia insidiato in quell’area, che poi risulta essere una delle zone più produttive del Nord Italia.
Le risposte che si provano a dare sono le più disparate, ma nessuna riesce effettivamente a dare la certezza, nessuna che sia plausibilmente accettabile tout court. E’ molto probabile che si sia trattato di un insieme di fattori, piuttosto che cercare ostinatamente il o un colpevole, una ragione.
Quella del corona virus sarà una diffusione strana, non solo a livello nazionale; la pandemia che dalla Cina è giunta sino a noi, si è geolocalizzata in un luogo di cui neanche sapevano l’esistenza, quanti di noi conoscevano Codogno o lo frequentavano?
Quindi la domanda assillante, almeno inizialmente fu: perchè proprio a Codogno, piuttosto che in un grande centro urbano con maggiore frequentazione e quindi rischio di contagio?
E’ molto probabile che nello stesso momento in cui Codogno saltava alle cronache per la manifestazione dell’infezione, magari nello stesso tempo, gli altri casi erano in incubazione, questione che non pensiamo sia dovuta a chissà quale tesi complottista.

Insieme ai primi pazienti, tra le tante vittime, anche il personale medico e sanitario ha contato i suoi casi di infezione, nonchè i conseguenti decessi. Ancora ad oggi il loro impegno e sacrificio non è spesso al centro dell’attenzione che merita.
Spediti in prima linea ad affrontare questo nemico invisibile con mezzi di sicurezza inappropriati, i medici ed il personale sanitario si è ritrovato nelle corsie delle terapie intensive e di rianimazione in condizioni a dir poco precarie, come quando i soldati italiani affrontarono il gelo russo quando furono spediti sul fronte orientale nel secondo conflitto mondiale, totalmente privi dei mezzi adeguati.
Oggi come ieri, ancora una volta l’impreparazione e l’inadeguatezza ci ha colti sprovvisti delle necessarie misure all’altezza della situazione; danno e beffa del destino, chissà, di fatto l’Italia sovente si trova tra l’incudine ed il martello, in circostanze a dir poco chiare.
Queste riflessioni sono la percezione diretta di chi scrive, e di come ha vissuto questo anno di emergenza totalizzante, con tutte le difficoltà annesse al caso, ma le storie, quelle che hanno ben altro da raccontare sarebbero molte.
Quello che si può fare qui è tentare di individuare tra i nostri ricordi, le tappe salienti di questo anno in compagnia del Covid; i momenti salienti e gli spostamenti di questa diffusione capillare, ecco perchè stiamo spendendo un po’ di tempo nel tentativo di ricordare, seppure con tutte le lacune del caso, cui vorremmo raccogliere testimonianze vicine a chi invece si è dovuto confrontare con questa infezione.
Oggi è la Giornata Mondiale delle malattie rare, per cui molte persone sono afflitte da patologie cui la ricerca e gli investimenti scientifici purtroppo non dedicano molta attenzione. Il panorama di queste patologie è così ampio che davvero, la scienza deve andare là dove la casistica conta il numero di dati maggiore affinchè possa saltare all’occhio della ricerca. E proprio in questa giornata vogliamo dunque ricordare, come il Covid, benchè sia una patologia tutt’altro che rara, vista la virulenza, rientri però nella cerchia delle infezioni che necessitano di un monitoraggio e di una ricerca che producano i risultati sperati alla fine di una soluzione definitiva.
Che siamo, quindi, in uno Stato di emergenza, ormai lo abbiamo capito; dopo oltre un anno di chiusure, aperture a singhiozzo, abbiamo imparato a gestirci, ma in realtà non è proprio scontato, come abbiamo visto, appena si sono allentate un po’ le misure contenitive si sono verificati aumenti dei contagi.
Questo ha a che vedere con la nostra forse, cultura e tradizione un po’ indisciplinata forse; basta vedere quello che è accaduto a Milano la notte scorsa, presso la darsena, per capire il termometro del nostro senso di responsabilità e civiltà, perchè diciamolo: comportarsi adeguatamente è un segno di responsabilità civile.
E se davvero da noi manca questo senso comune dell’appartenenza collettiva, da qualche parte questa lacuna avrà origine, che sia colpa della famiglia o della scuola, che sia responsabilità delle istituzioni o individuale, è certo che in un paese come Cina, Giappone o Corea una roba del genere non si sarebbe mai manifestata, perdonate se chiamiamo in causa paesi in cui la disciplina è osservata, nel bene o nel male, in maniera rigorosissima.
Bando ai paragoni però, ci sono molte persone anche tra noi italiani che stanno attenti ad osservare tutte le indicazioni del caso, ma il nostro paese è tuttavia attraversato ed in balia di tante, troppe voci che forse farebbero meglio a tacere.
Per carità, nè più nè meno di tanti altri paesi europei, dove la pandemia ha colpito duramente anche socialmente, l’Italia però si trova in una condizione un pochino più difficile, o per lo meno svantaggiata, soprattutto per motivi politici.
Se inizialmente eravamo inconsapevoli di cosa stesse accadendo, cosa fare e cosa non fare, come affrontare questo temibile male sconosciuto, di cosa si trattasse, dato che non esisteva una letteratura scientifica da consultare nello specifico, relativa al Covid-19, oggi invece i dati in nostro possesso, l’iper- informazione, talvolta anche esagerata, ci ha fornito gli strumenti e le indicazioni da seguire, eppure, si continua ad eluderli come se il problema non esistesse, o come se si sfidasse la sorte in un perverso gioco di affermazione di sè, lasciandosi al fatalismo, che in molti casi è pericolosissimo.
Abbiamo avuta paura, tanta, terrore, molto, abbiamo imparato, tra pareri contrastanti cosa fosse questo agente patogeno. Inizialmente l’impatto emotivo fu tremendo, una specie di bomba atomica virulenta i cui effetti postumi erano per lo più sconosciuti ed imprevedibili; le voci si sono rincorse contrastanti e rapide, in maniera isterica e massiccia.
In molti casi siamo arrivati ad avere paura dell’aria stessa che respiravamo, ci sentivamo minacciati ad ogni piè sospinto, da una pressione incessante; in molti hanno somatizzato a tal punto la situazione, da avere addirittura paura di uscire da casa, letteralmente!
Poi con il tempo abbiamo imparato qualcosina di questo virus, di come per lo meno gestirlo: con un po’ di buon senso, con senso civile e comune, mediante l’uso dei dispositivi di protezione individuale, la sanificazione, l’igiene delle mani e personale, una igiene in molti casi, cha dal nostro punto di vista non è seconda all’igiene di un comportamento sano ed attento, per sè e per gli altri.
Demagogia? Si forse, ma solo qui da noi, perchè altrove l’attenzione e la soglia di accortezza individuale è ben evidente.
Abbiamo accumulato dati, statistiche, cifre e numeri. sono diventati pane quotidiano; bollettini medici all’ordine del giorno, indici di contagio, numero di casi giornalieri, numero di tamponi effettuati, i dati relativi i casi positivi, i malati, a cui sommare gli asintomatici, categoria che ha instillato in noi ulteriori dubbi sul terreno già fecondo dell’incertezza.
Eppure, di fronte a tutto ciò, di fronte ai morti, ai malati, alle chiusure, al sacrificio, al danno economico e sociale, a tutt’oggi quale è il risultato: Milano! Un Rave party dove sfogare tutta la propria frustrazione, accumulata e recondita, atto liberatorio e libertario ai danni di quanti vorrebbero tornare a vivere in condizioni normali.
Allora poco importa se: ristoranti, bar, pub, esercizi commerciali, negozi, palestre, concerti, teatri, viaggi, compagnie aeree, teatri, musei restano chiusi, cosa importa a quanti si comportano così, se i comparti della nostra produzione, che fanno la ricchezza del paese, per colpa di certi irresponsabili, risentono delle decisioni prese dai governi per contenere il contagio, grazie all’azione incosciente di chi vorrebbe liberarsi di questo fardello?
Siamo tutti chiamati ad una enorme responsabilità, senza per questo essere o passare necessariamente per bacchettoni, ma è necessario che a dettare le linee comportamentali, che dichiari lo stato delle cose, sia uno e uno soltanto, a riferire su cosa fare e cosa no, su cosa e come comunicare, cosa sia strettamente necessario comunicare e cosa invece sia solo show televisivo o salotto dove promuovere il proprio libro.
Tra bollettini medici, conferenze stampa, DPCM, il nostro quotidiano è stato stravolto, tutto ciò è diventato parte integrante della nostra vita, condizionandola, ma non è detto che debba restare tale!
Non vogliamo sindacare l’azione dei governi, ma è doveroso valutare come le scelte e le decisioni portate avanti fin qui, influiscono sulle nostre singole vite, secondo le condizioni sociali, economiche di ognuno di noi.
Il contagio in una società come quella odierna, è parte integrante dell’interazione tra a-genti che entrano immancabilmente in contatto, ci influenziamo a vicenda.
Quella attuale è una società contaminata e contaminante, influenzata e influenzatrice, sia sul piano sociale che psicologico , e pure su quello politico ed economico, finanziario, non ultimo sul piano sanitario!
Siamo una società in movimento che trasporta se stessa da una parte all’altra; non solo merci, o mode, tendenze, ma anche e soprattutto sintomi, malattie e batteri, allora che fare, chiudere tutto per sempre, serrare i confini e non muoversi più? O invece farlo adottando le misure di contenimento adatte a contenere la propagazione dei nostri mali?
In Oriente hanno già assimilata la lezione, già con il primo Sars-Cov 1, e le altre epidemie, eppure non si sono serrati in casa, hanno fatta propria la lezione, adottate le misure di difesa e igiene e hanno intrapreso un cammino nuovo, che gli ha consentito di vivere, seppure con una mascherina sul volto, o sanificandosi le mani, già da molto prima del Covid-19!
Sicuramente avremmo dovuto correre ai ripari tempestivamente. anzichè sentirci tutelati da una distanza geografica, e da una visione culturale di onnipotenza, di cui oggi non possiamo più tenere conto e sulla quale non possiamo più contare, a dire che le distanze si sono di molto accorciate tra i popoli.
Fare dietrologia spiccia non serve a nulla, ma può risultare utile fare analisi delle esperienze e da queste tentare di trovare soluzioni per il futuro.
Qui da noi non vige proprio una cultura dell’obbedienza sociale, dell’armonia e del rispetto, diciamolo chiaramente. Certe consuetudini fatichiamo molto ancora oggi a digerirle, a farcele andare bene, chissà perchè; ma nei paesi orientali, senza per forza fare un elogio eccessivo degli stessi, esiste una cultura del rispetto civile, dell’obbedienza sociale e dell’attenzione e responsabilità reciproca, che noi ce la sogniamo.
E’ un sistema totalmente diverso, che ha fatto tesoro delle esperienze precedenti, tanto che oggi non si può certo dire che si trovino nella confusione totale nella quale siamo caduti noi altri.
A tutto questo dobbiamo sommare una situazione politica, tutta italiana, delicatissima; l’instabilità politica nel nostro paese è tale che ad ogni colpo di tosse o soffio, vien giù tutto, come la casetta dei “tre porcellini” spazzata via dal lupo cattivo, e del resto in queste ultime settimane lo abbiamo potuto constatare bene, con l’ultima crisi di governo innescata in un momento tanto complesso!
Oltre alla pandemia, quindi, e alla crisi da essa scatenata, esiste anche una crisi politica costante, che porta in sè tutta una serie di conseguenze ed incongruenze, di dubbi tali da mettere in discussioni pure le decisioni prese nell’arco di questa emergenza sanitaria.
Se mantenessimo costante e vigile il comune buon senso, certamente non manderemo a vuoto le azioni dei governi che si stanno succedendo, per quanto le loro decisioni possano essere lontane dalla nostra volontà, ma soprattutto non faremmo decadere quanto fin qui è stato fatto in termini anche di sacrifici e collettivi e individuali, per fronteggiare questa terribile malattia della quale continuiamo a farci beffe a nostro danno,