di Cristian Arni
35 anni fa, alle ore 01:23, il mondo avrebbe conosciuto la centrale nucleare di Cernobyl’, meglio sarebbe stato non aver avuta questa opportunità. Era il 26 Aprile 1986.
La causa, o più esattamente le cause del grave incidente nucleare, furono legate alle responsabilità di chi teneva nascoste le condizioni di “salute” dell’impianto; il funzionamento e dunque la sicurezza della centrale era già da tempo obsoleto, ma la cosa fu taciuta dai dirigenti facendo ricadere le responsabilità anche sugli operatori della centrale.
Alcune responsabilità furono imputate a monte, nei confronti di chi progettò l’impianto poiché presentava alcuni difetti strutturali, oltre al fatto che la centrale aveva un sistema di alimentazione che non garantiva la continuità del suo funzionamento in caso di interruzione energetica, problema non da poco.
Non se ne doveva parlare, era l’imperativo silenzioso di un sistema subdolo ma allo stesso tempo molto lampante; bugie, mentire, era consentito, ma la verità quella nessuno doveva ammetterla, non dovevano svelarsi le debolezze di un sistema che avrebbero messo a rischio l’integrità dell’efficientismo sovietico.
A monte sono sempre faccende di natura economica: abbattere i costi della manutenzione, e tirare avanti, negligenza, per non ammettere i propri errori. Ma semplifichiamo, a onor del vero per quello che ci è dato sapere.
E la centrale di Chernobyl, non era l’unico impianto che presentava queste falle, molte altre centrali limitrofe, non erano in condizioni di tutelare la sicurezza di operatori, scienziati, impiegati, operai, civili, famiglie e popolazione dei paesi vicini al luogo dell’incidente, ma anche di quelli più distanti dall’epicentro del disastro ambientale.
Le condizioni furono taciute per diverso tempo, fino al processo, quando scoperchiate le verità, vennero fuori i responsabili del disastro e furono tirati fuori gli scheletri nell’armadio di un sistema che vide coinvolti i vertici dell’impianto.
In un bellissimo docufilm dedicato interamente all’ex leader russo Michail Gorbacev, firmato dal noto regista tedesco, Werner Herzog, Gorbacev dichiara che uno degli elementi che avrebbero condotto l’URSS al suo successivo disgregamento fu proprio l’incidente nucleare di Chernobyl.
Un processo a porte chiuse, tenutosi quattro mesi dopo l’incidente della centrale, furono presi diversi provvedimenti disciplinari che condussero al licenziamento di 67 persone licenziamenti e 27 espulsioni dal partito comunista.
Furono condannati a dieci anni di lavori forzati, con l’imputazione di “negligenza criminale“, Viktor Brjuchanov, direttore della centrale e Nikolaj Fomin, ingegnere capo; 5 anni per “abuso di potere” a Anatolij Djatlov, vicecapo ingegnere e a Boris Rogožkin, capo della vigilanza notturna; 3 anni invece al supervisore del reattore 4 Aleksandr Kovalenko, e infine 2 anni a Jurij Lauškin, ispettore nella centrale nucleare.
La contaminazione nella zona dell’esplosione fu subitanea e altrettanto rapida fu la contaminazione dell’abitato di Pryp’ jat’, prossimo al luogo dell’esplosione a soli 3 km di distanza, da allora è una città fantasma, gli abitanti furono immediatamente evacuati, con la promessa di tornare nelle loro case entro pochi giorni, ma la zona è a tutt’oggi nel perimetro della così detta “area di alienazione” che copre un raggio di 30 km.
Pryp’ jat’ distante da Kiev 100 km, fu il punto di massima concentrazione di elementi radioattivi sprigionati nell’aria in seguito all’esplosione; l’emissione della nube radioattiva si sparse poi in quasi tutto il Vecchio continente, dapprima nei paesi confinanti con l’Ucraina e la Bielorussia, per poi propagarsi fino a raggiungere anche il nostro paese.
Il disastro di Chernobyl, risulterà essere in seguito il più grave disastro nucleare di cui si è a conoscenza, almeno fino al 2011 quando in Giappone, a Fukushima, a causa del maremoto di proporzioni ragguardevoli si scatenò uno tsunami devastante che si abbatté proprio sull’omonima centrale nucleare causando un disastro ambientali nucleare di cui ancora non si conosce il numero definitivo dei morti, questo vale anche per Chernobyl, le cui stime ufficiali parlano di 31 decessi accertati in seguito all’incidente.
Essendo però, in entrambe i casi, una situazione in costante evoluzione, connessa agli effetti a lungo termine dell’esposizione alle radiazioni, l’ UNSCEAR avrebbe affermato sui casi di tumore che:
«Fino all’anno 2005, tra i residenti della Bielorussia, la Federazione Russa e l’Ucraina, ci sono stati più di 6 000 casi di tumore alla tiroide in bambini e adolescenti che sono stati esposti al momento dell’incidente, e più casi sono da aspettarsi nei prossimi decenni.»
Oggi della centrale di Chernobyl resta un edificio rinchiuso in un sarcofago di sicurezza a protezione da ulteriori eventuali fughe radioattive. Di quel disastro ricordiamo le migliaia di bambini ospitati dalle famiglie italiane negli anni a venire, come è impossibile non ricordare altrettanti bambini che in seguito all’esposizione degli elementi di radioattività contrassero la Leucemia.
Per testimonianza diretta possiamo confermare che molti di loro, provenienti dall’Ucraina, furono tra l’altro, presi in cura presso l’Istituto Ematologico del Policlino Umberto I di Roma, istituito, e oggi intitolato al Prof. Franco Mandelli.
Quali furono gli effetti immediati e a venire di quella notte, li ricordiamo tutti, così come ricordiamo l’allarme che ci fu in seguito allo spostamento della nube radioattiva nel comparto europeo in movimento da est verso nord ovest e poi fino a raggiungere Italia e Francia.
Allora Internet non era ancora entrato nelle nostre vite, e ci affidavamo ai classici mezzi di comunicazione di massa e di informazione che pure tardarono a dare notizie precise sull’entità del disastro, poichè all’origine era un sistema di controllo dell’informazione sovietica che a fatica comunicava con l’occidente riguardo le questioni interne.
Tra i ricordi allora, c’era la paura di chi all’epoca era adolescente, e si trovò a confrontarsi per la prima volta con il timore del nucleare, timore che aleggiava come un fantasma sulle vite di tutti noi, poichè anche in Italia erano presenti centrali di energia nucleare, poi dismesse in seguito al disastro di Chernobyl, con il referendum abrogativo del 1987.
Per la prima volta, in maniera diretta, ci si trovò davanti gli effetti devastanti del nucleare.
Chi scrive appartiene a quella generazione cresciuta con lo spettro e la minaccia di un pericolo atomico, la spada di Damocle sulla testa di chi era in mezzo alle due superpotenze di allora; il pericolo di un conflitto atomico di proporzioni mondiali fu più di un semplice “spauracchio”, fu la costante, il leit motiv che prese il nome di Guerra fredda.
Nei giorni dopo l’incidente, fu detto alla popolazione italiana, di non mangiare frutta, verdura a foglia larga, insalate non assumere latte e non mangiare latticini, tenere lontani i propri figli dal giocare nei campi in terra e nei prati, e di uscire il meno possibile, specie se pioveva, il che significava lo scarico delle radiazioni sospese nell’aria giù al suolo.
Parlare di Chernobyl significa parlare di una vita fa, sembra così lontano nel tempo eppure sono trascorsi appena 35 anni, 35 anni di vite spezzate e di ricordi vividi nella mente di chi visse quei terribili giorni.
Noi ci limitiamo in queste righe, solo a ricordare in questo giorno, quella data come segno di rispetto verso le persone, i bambini, i civili, gli anziani che hanno persa la vita, già a poche ore dall’incidente.
Ci sarebbero centinaia di immagini raccapriccianti che possono accompagnare quelli che furono gli effetti di quella nube nucleare che sparse radiazioni un po’ ovunque causando mostruose malformazioni a persone e animali, procurando malattie, effetti dovuti all’esposizione alle radiazioni, ma non ci sembra il caso di rimarcare quanto già sicuramente avrete assistito.