di Cristiano Arnerich (in Arni)
Ricordare è un dovere, essere e sentirsi italiani non significa essere necessariamente fascisti o di destra.
Oggi ricorre la giornata dedicata al ricordo, non è così diversa dalla giornata della memoria benchè sia stato fatto un distinguo per non confondere i due fatti storici, senza voler per questo sminuire l’uno ed esaltare l’altro, che siano 6.000.000 di morti o 100.000, ogni qualvolta la causa della stessa è per mano degli uomini ha lo stesso peso, poi ovviamente le dimensioni e le portate dipendono dalle circostanze ma ciò non toglie ignominia in ogni caso.
In entrambe i casi si ha a che fare con la memoria; non si ha storia nè vita senza memoria, essa ci aiuta a capire, comprendere, conoscere il mondo, noi stessi e possibilmente evitare di tornare a compiere certi errori/orrori, forse abbiamo tutti bisogno di un po’ di memoserina e fosforo in più, visto come va il mondo.
Dimenticare è pericoloso ma ignorare, non sapere oppure mostrare indifferenza lo è ancora di più !
Con la L.n.92 del 30 Marzo 2004 è stata ufficialmente riconosciuta la data del 10 Febbraio in quanto: “Giornata del ricordo” in occasione della barbarie perpetrata ai danni di civili e militari: istriani, dalmati, italiani autoctoni e non solo. Centinaia, migliaia forse, il dato circa il numero delle vittime è ancora incerto poichè molti di loro furono uccisi nei campi di prigionia jugoslavi, o durante il tragitto verso gli stessi, oppure fucilati e poi gettati nelle feritoie carsiche nel terreno, in quegli inghiottitoi che ha cercato, per moltissimo tempo, dal secondo conflitto mondiale alla conclusione dello stesso, nascondere, e/o dimenticare le purghe etniche ad opera dell’OZNA e delle milizie, i partigiani jugoslavi quando Tito era al potere.
Un numero imprecisato dunque, di persone uccise, sacrificate e gettate nelle buche, negli inghiottitoi del Carso, quella regione nell’angolo del Nord- Este italiano e del comparto mitteleuropeo che comprende: Venezia Giulia, Quarnaro, Dalmazia e tutta la penisola istriana.
L’immediato dopo guerra fu sicuramente uno dei momenti peggiori per i nostri connazionali che, raminghi, nomadi, si videro costretti a lasciare le proprie case, i propri averi, tutta una vita, quando la penisola dalmata, strappata all’Italia entrò territorialmente nella geografica jugoslava. Italiani doppiamente beffati da una parte e dall’altra, con l’espropriazione dalle proprie terre, dalle proprie case ebbe inizio un complesso momento della storia del nostro paese, un esodo che vide questi compatrioti, figli dell’Italia, rinnegati dal Governo dell’epoca, rifiutati come merce andata a male, e non accolti nel loro paese come sarebbe loro spettato. L’onda umana dalmata, istriana e fiumana si spinse in quel nuovo confine, ridisegnato dai trattati di pace, che vide respingere quelle persone come apolidi, negando loro ogni diritto democratico al vivere civile, con nulla più da perdere se non la loro stessa dignità e vita.
Ecco, oggi si vuole ricordare questa pagina triste della nostra storia senza recriminazioni o prese di posizione sterili, semplicemente cogliendo il dato di fatto così come la vita ce lo ha consegnato: delle persone che viveva nelle loro terre è stata poi espropriata e massacrata da un lato dalle purghe di Tito e del suo regime, dall’altro da quello stesso paese di cui erano cittadini, infine gettati in fosse profonde e buie dimenticati da tutti.
Non c’è una nostra presa di posizione politica in merito, nè destra nè sinistra, solo voler omaggiare e ricordare vite spezzate con un profondo senso di rispetto verso quelle persone che hanno poi conosciuto l’oblio, oggi finalmente ricordate.
Chiosa doverosa: non sarebbe corretto avvallare sentimentalismi e personalismi ma in questo caso è un segno di profondo dovere aggiungere una nota di commozione, rispetto e dolore personali in quanto scorre, nelle vene di chi scrive, sangue originario di quelle terre, nipote di un soldato della marina militare italiana, nato a Trieste e la cui famiglia proveniva e viveva proprio in quelle terre annesse alla dittatura di Tito; mio nonno si chiamava Gastone Arnerich, italianizzato in Arni per ragioni che ben sapete, ed era stato partigiano del CNL per combattere le forze nazi- fasciste che opprimevano il nostro paese.
Ricordare le foibe è un rispetto e senso di profonda civiltà e non significa per questo essere di destra, fascisti o altre corbellerie, significa avere rispetto per la vita in generale, rispetto di sè e per gli altri, chi marcia con la fiamma in mano o contro questa pagina vergognosa della nostra storia farebbe bene a studiare meglio cosa la storia ha provato ad insegnarci.
veramente scritto bene e ha ricordato anche il papà bravo è veramente in gamba
La ringraziamo molto dei graditi complimenti, continui a seguirci se vuole. Buon proseguimento.
Gentile Sig.Cristiano Arni. Mi spiace di aver trovato per caso solo oggi questo articolo.
Indubbiamente ha reso un servizio pubblico ‘di memoria’. Ma è doveroso per me sottolinearLe alcune cose. Lei si firma Arnerich, ma Lei , come due dei figli del Sig.Umberto – successivamente agli anni ’20 – ha cognome registrato e su carta di identità ‘ Arni’. Il Sig.Gastone Arni, come uno dei suoi due fratelli, Rodolfo, avevano carta di identità con cognome Arni. I figli del Sig.Gastone Arni, uno dei quali è suo padre, hanno anch’essi cognome Arni sulle loro carte di identità. I figli di Umberto Arnerich cambiarono il loro cognome per ragioni intimamente familiari legate a non buoni rapporti tra parenti…Il patron Umberto Arnerich venne lasciato solo da tutti i parenti nel momento della malattia e con lui, fino alla morte in ospedale ci fu solo il figlio Gastone. Il cognome non è stato tagliato per ragioni legate al fascismo o al nazismo (non mi sembra corretto attribuire responsabilità storiche ingiustamente). E non dimentichiamo che il Sig.Gastone si innamorò e sposò una bella ragazza giudecchina capo balilla – e con genitori fascisti – almeno fino a quando non si accorsero che la politica mussoliniana era solo fumo negli occhi e pancia vuota -. La famiglia Arnerich Umberto era una famiglia molto benestante, residente a Trieste per ragioni lavorative del Sig.Umberto Arnerich (manager, oggi si direbbe così, presso una famosa coloreria triestina di memoria Sveviana…La Veneziani). Di origini dalmate ed istriane, gli Arnerich non si allontanarono dalla loro terra per ragioni politiche, ma per scelte economiche. Tant’è che il fratello di Umberto Arnerich, era un importante armatore conosciuto particolarmente anche a Venezia..La famiglia Arnerich Umberto possedeva addirittura un cinematografo a Trieste. Parenti del Sig.Arnerich Umberto erano armatori (e lo sono probabilmente i discendenti) negli Stati Uniti. La famiglia Arnerich non aveva, diciamo, contenziosi politici con nessuno. Erano tutti uomini d’affari.
Il Sig.Gastone Arni si arruolò nella regia marina come Maresciallo capo segnalatore di bussola (qualifica che impedì al Sig.Gastone di essere deportato…ma questa è un’altra storia…molto lunga). il Sig.Gastone fu probabilmente l’unico di quella famiglia a scegliere di diventare un partigiano che operò non con poche difficoltà alla liberazione di Venezia (come testimoniano alcuni libri sulla resistenza e documenti conservati presso l’archivio storio di Venezia).
Il Sig.Gastone Arni non era un soldato, ma al servizio e volontario della Regia Marina e di stanza presso l’Arsenale di Venezia…e molto probabilmente fu Venezia a trasformarlo in un valoroso partigiano con meriti che non gli sono stati ancora riconosciuti. Ma il tempo e la tenacia daranno i loro frutti.
Cordialmente.
Laura Arni,
di Gastone Arni e Ada Vecchione
Gent.ma Sig.ra Laura Arni,
Grazie del Suo contatto e della Sua cortese spiegazione, che dire…è per me un piacere sentirLa, l’ho letta con profondo trasporto nel suo particolareggiato racconto che ha suscitato in me vivo interesse. Il chiarimento relativo al cognome Arnerich/ Arni è molto suggestivo ed apprenderne la Storia, così come Lei ha avuta la cortesia di riferire, aggiunge non poche precisazioni e dettagli a quanto da me appreso nel corso del tempo attraverso versioni, forse arrivate al sottoscritto, incomplete, che presentavano evidentemente non poche lacune. Per la prima volta apprendo un’altra versione, particolareggiata, che mi lascia intendere quanta altra memoria ed affetto ci siano dietro le Sue parole, ciò Le rende merito. Non era intenzione del sottoscritto, per tanto, firmando Arnerich, offendere la memoria di alcuno, diretti o indiretti interessati, poichè ignorando l’esistenza dei fatti da Lei esposti, altresì se ne voleva meramente ricordare la memoria con affetto, stima e rispetto per chi si è battuto in nome della Libertà! Era anzi un segno di omaggio verso le persone da Lei nominate, attraverso una versione giunta a me, evidentemente non completa. Mi rincresce qualora si possa esser risentita poichè non v’era intenzione di rinnegare, né mancare rispetto al cognome e alla memoria degli Arni.
Qualora avesse piacere e voglia di riferire quanto Lei conosce bene, saremmo lieti di leggerLa colmando quelle lacune di cui sopra, per rendere il giusto omaggio, come poi era intenzione fare con questo nostro contributo.
RingraziandoLa ancora della Sua cordiale attenzione l’occasione mi è lieta di un cordiale saluto.
Il Direttore Responsabile
Cristiano Arni